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In questi giorni ci siamo resi conto che l’uomo, colui che appartiene al genere Homo, alla famiglia degli ominidi e all’ordine dei primati, colui che è stato in grado di fare scoperte come il fuoco o di arrivare a oltrepassare il cielo per giungere sulla luna, colui che ha sempre pensato di essere il centro e il capo del mondo; si proprio lui, si è dovuto nascondere per scappare da un nemico, uno di quelli invisibili e che colpiscono senza distinzioni; un virus. L’uomo si è trovato tanto fragile davanti a una minaccia così piccola per dimensioni, fragile fisicamente, fragile nell’organizzazione, fragile nella comunicazione; ma che dire di chi era già fragile prima?

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Cura ai tempi del Covid-19 : Chi ha più diritto di essere curato?

Tutte le vite degli esseri umani sono importanti allo stesso modo, ma in tempi di emergenza come questo, a causa del Corona virus, dato che i respiratori non possono bastare per tutti, si deve seguire una piramide d’importanza per curare i pazienti o non si deve seguire alcun criterio e quindi curare chi arriva per primo in ospedale?

L’articolo 2 dei Principi fondamentali della costituzione italiana dice che :

“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

Quindi attenendosi all’articolo 32 (Parte I, Titolo II) della Costituzione italiana:

“ La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
, ogni persona ha il diritto di essere curata.

Ma in questo caso di emergenza, dove a causa del Coronavirus molte persone sono impossibilitate a respirare, e quindi hanno bisogno dell’aiuto dei respiratori (che non bastano per tutti) per riuscire a sopravvivere, come si devono comportare i medici?

Riflettendo sulla possibile risposta a questa domanda, si possono trovare varie categorie di pensiero. Non siamo in grado però di decidere quale tra queste sia la più giusta sotto il punto di vista umano e razionale, poiché non possiamo esaminare a fondo la vita di ogni persona contaminata, come la vive o quanto sia importante la sua esistenza per la società.

I giovani hanno più diritto di essere curati degli anziani?

Dal punto di vista morale e legislativo queste due categorie di persone hanno lo stesso diritto di essere curate, ma dal punto di vista razionale?

I giovani hanno, genericamente parlando, ancora tutta la vita davanti, a differenza degli anziani che hanno vissuto la maggior parte della loro vita sulla terra e sono quindi prossimi al termine di essa. I giovani studiano o lavorano, sono, o saranno, quindi utili per la società e per l’economia italiana, la quale in questo periodo sta affrontando un drastico calo del Pil.

Le persone con meno anni di età hanno anche più probabilità di guarire, ma non per questo le persone con età più avanzata non hanno nessuna speranza di guarire, un esempio è Italica, la donna di 102 anni che è riuscita a guarire dal Coronavirus.

A cura di Matilde Matteucci e Lara Ognibene.

SCEGLIERE CHI SALVARE

” In USA niente respiratori per i disabili”
Queste sono le notizie che ci arrivano dall’altra parte dell’oceano. In un periodo di totale emergenza sanitaria, alcuni stati americani iniziano a decidere chi merita di essere curato e chi no.
Nell’ Alabama, nello Utah e in molti altri stati i medici sono tenuti a valutare attentamente la condizione medica degli affetti prima di decidere se curarli “vale la pena” o meno.
Purtroppo queste realtà ci mostrano come davanti ad una crisi così violenta ed inaspettata, si possa svalutare la vita di una persona, se questa probabilmente non è abbastanza forte per sconfiggere la malattia.
Lo scenario che ci spaventa è quello dove un medico, un primario o un istituzione ha il potere decisionale sulla vita delle persone.
Ritengo invece che questa esperienza dovrebbe insegnarci a prendere cura dell’altro, specialmente se questo è più fragile, più debole o più soggetto alla malattia; sarebbe bello che questa esperienza ci distogliesse dal nostro miope egoismo che la competizione sociale ci impone quotidianamente.
Questa situazione ci dovrebbe aiutare a compatire chi vive quotidiane situazioni di difficoltà e, sentendoci noi dall’altra parte per una volta, portarci quando tutto finirà a prendersi cura di queste persone.
Lorenzo Buccolini

Gli Hope

Il tema dei senzatetto è un tema che, ai giorni nostri, è quantomai più attuale in questa situazione di emergenza in cui siamo stati catapultati. Per aiutare queste persone, a Trento, viene offerta la possibilità di riscattarsi e di riacquistare un po’ di dignità lavorando in una biblioteca. Questo riscatto non è solo di natura sociale ma anche personale perché vengono chiamati non più homeless peer ma hope, ovvero speranza, e questo infonde in loro la forza di cambiare la loro condizione e far vedere a tutti le loro capacità e le loro potenzialità in quanto persone e cittadini appartenenti alla società. Gli Hope non devono essere inquadrati solo come persone che necessitano di aiuto ma anche come coloro che sono riusciti a raggiungere un obiettivo e che in futuro possano essere utili in un percorso di crescita e di realizzazione personale di altre persone che si trovano in difficoltà fornendo un esempio in prima persona che cambiare si può ed è positivo. A mio avviso dovrebbe essere favorito il reinserimento di queste persone nella società in modo da abbattere le barriere dei pregiudizi che ci separano e impediscono il dialogo, utile per avviare una conoscenza e una comprensione reciproca. In alcune città potrebbero essere utilizzate molte chiese sconsacrate o altri edifici per aiutare i senzatetto. Una abitazione migliorerebbe non solo la loro condizione fisica ma anche quella mentale.

La cura
Per quanto riguarda il tema della cura credo che queste persone abbiano bisogno di qualcuno che si prenda cura di loro che voglia il loro bene e che affidi loro degli incarichi in modo da farli sentire importanti e indispensabili per permettere loro di riacquistare la dignità perduta. In futuro gli Hope potrebbero prendersi cura degli altri in modo da far incrementare l’efficienza di questa rete di solidarietà che in questi momenti difficili è fondamentale a causa delle risorse umane che scarseggiano e per la funzione che svolge. Prendersi cura del prossimo è anche un insegnamento cristiano e lo stesso San Francesco diceva che le persone dovessero essere convertite con il proprio esempio e non a parole. Per prendersi cura dobbiamo dare loro la possibilità di essere indipendenti e quindi di ottenere, con il passare del tempo, un nuovo lavoro che non abbia niente a che fare con la comunità e le persone che li hanno aiutati ad uscire dalla loro situazione precedente.

Emergenza freddo, 89 senza tetto accolti dal volontariato modenese

Il nemico

Sembrava impossibile, inimmaginabile, un fatto straordinario, eppure ci siamo. Nell’anno 2020, sinonimo di progresso e innovazione, ci troviamo alle prese con un nemico invisibile, più letale del previsto, che tutti chiamano “COVID-19”. Soggiogati dalla nostra arroganza, abbiamo sottovalutato il problema e ne stiamo pagando le conseguenze. Muoiono persone. Muoiono decine di migliaia di persone. Muoiono abitudini, rapporti interpersonali, tradizioni: muore la società, l’Italia. Ci siamo presentati alla guerra sprovvisti di armi. Siamo caduti in un baratro, in cui difficilmente riusciamo a captare il bagliore di luce che, entrando dall’altra estremità, lascia intravedere la via d’uscita. Ci troviamo di fronte ad uno scenario ignoto alla generazione dei giovani, ma ben conosciuto dalla generazione senile: il tempo di guerra. Oggigiorno, al fronte, nelle anguste trincee, quali sono i corridoi degli ospedali, non troviamo generali e soldati armati fino ai denti, ma bensì capi reparto e medici scarsamente muniti di mascherine, terapie intensive, e di posti letto. Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza nel mese di marzo, accompagnato da un lock down generale dell’intera nazione: siamo fermi, incapaci di muoverci, chiusi nelle nostre case. Teniamo ben salda la speranza nel nostro cuore. Sentiamo male alle ginocchia da quante volte abbiamo cercato la consolazione nella preghiera.

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Coronavirus – Cosa possiamo fare?

Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio. Bisogna custodire la gente, avere cura di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore.

Papa Francesco

In questo periodo difficile per il popolo Italiano e per il mondo, è importante rafforzare il senso di rispetto per gli altri e di appartenenza ad una comunità. Ora che è estremamente facile pensare solo a se stessi e alla propria salute, tanto da vedere il prossimo come un “untore”, è essenziale ricordarci che non siamo soli e che le nostre azioni possono influenzare gli altri. A questo proposito, ci sono infiniti esempi di azioni che possiamo compiere e che sono state compiute al fine di fronteggiare questa emergenza.

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Vivere è convivere

Adesso più che mai abbiamo bisogno di unità, di collaborazione, per riuscire a tornare a ciò che chiamavamo normalità.

In questo periodo la nostra Italia si trova in pericolo a causa del coronavirus che sta svuotando città e riempiendo ospedali, soprattutto i reparti di terapia intensiva di città come Milano, Bergamo e molte altre.

Oltre alla paura di questa malattia che non possiamo affermare di conoscere fino in fondo si aggiungono la sofferenza e l’estraneazione che comportano le misure adattate contro la diffusione rapida del virus: la popolazione si è ritrovata confinata nelle proprie abitazioni ed è destinata a restarci per un tempo che non siamo nemmeno in grado di calcolare. Le nostre città, tra le più belle del mondo, sono stranamente silenziose, vuote e fredde.

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Gli eroi sul fronte

Probabilmente la frase ormai nota “non tutti gli eroi portano un mantello” si sta confermando sempre di più in questi giorni. Infatti proprio in questo periodo difficile, possiamo notare come i veri eroi portino dei guanti e una mascherina e affrontino ogni giorno una nuova avventura per cercare di salvare una vita.

Nessuno di noi vuole sottrarsi al lavoro, ma siamo preoccupati.Noi non siamo messi nelle condizioni di proteggerci, e se non riusciamo a proteggere noi stessi non possiamo continuare a prenderci cura degli altri.” (Torino, la Stampa 20 marzo 2020)

Questo è il grido d’allarme dei medici dell’Unità Spinale del Cto di Torino che denuncia le condizioni di pericolo in cui i medici si ritrovano a lavorare nonostante siano spinti da una grande forza volontà di aiutare gli altri.

Noi ci sentiamo molto coinvolti riguardo a questa “sofferenza” poichè i nostri genitori, essendo medici o infermieri, si trovano ogni giorno in prima linea a rischiare la loro vita per aiutare gli altri. Ogni giorno, quando per loro giunge l’ora di andare a lavoro, la nostra agitazione aumenta sempre di più poichè ci ripetono molto spesso che le protezione non sono adeguate alla gravità del problema.

Numerose sono le citazioni riguardanti questo argomento da parte dei medici. Silvio Tuccillo, medico di famiglia e di continuità napoletano, afferma: “Al momento non abbiamo avuto distribuzione di dispositivi di protezione tra i medici di medicina generale. Io come molti altri colleghi, ognuno su propria personale iniziativa e personale possibilità, ho acquistato una maschera Ffp3 ma a metà febbraio, la settimana dopo non c’era già più possibilità di acquistarla”.

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Covid-19: solidarietà a distanza e in corsia

Sono già passati più di venti giorni dall’inizio dell’isolamento e la ripresa delle attività è posticipata di settimana in settimana. L’invito a non uscire di casa, dapprima un’eco proveniente da pubblicità televisive, radio, titoli di giornale, è ora una disposizione ministeriale. Chi viene colto a passeggiare per strada senza necessità impellenti rischia ingenti multe, compie un reato. Di conseguenza le strade sono vuote, le serrande dei negozi sono abbassate, e nelle città domina il silenzio assoluto, rotto dal motore di qualche auto o, più spesso, dalla sirena di un’ambulanza. 

L’atmosfera è gelida, neanche il sole primaverile riesce a intiepidirla. Chi passeggia per strada solo e con la mascherina evita di sfiorare gli estranei o anche solo di ripercorrere i passi di una persona passata poco prima: si ha paura del contagio

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